Il Libro del Mondo 3a edizione: 15.19 settembre 2021
Il 90% delle merci che compriamo e utilizziamo arriva a noi dopo essersi spostato via mare, sulle grandi navi cargo; gli altri tipi di trasporto commerciale sono infinitamente meno rilevanti.
Metà della popolazione mondiale, afferma l’ONU, dipende per la sua alimentazione in modo prioritario dal mare. Il paese al mondo con la maggior estensione di zone economiche esclusive (ZEE), cioè di diritti di sfruttamento di spazi marini, è la Francia, che così assume rapidamente tutt’altra immagine rispetto a quella della Francia metropolitana, che siamo abituati a osservare sulle carte europee e a studiare a scuola.
Un terzo degli arrivi turistici internazionali, ancora oggi, si concentra sulle sponde del Mediterraneo e ne fa uno dei mari più navigati e inquinati del mondo. Bastano pochi accenni, qualche dato, per sorprenderci, per mostrarci quanto poco consideriamo il mondo visto dall’acqua, quanto poco osserviamo il pianeta blu nella sua interezza.
La geografia delle popolazioni e quella culturale, la distribuzione di lingue, usi e credenze, la faccia odierna della Terra sono figlie dell’incessante movimento di idee, persone, merci, avvenuto in età moderna soprattutto via mare.
L’attuale scenario geopolitico, l’ineguale distribuzione della ricchezza, ancora largamente concentrata nel mondo euro-atlantico, sono figli del processo di accumulazione messo in moto dai grandi nastri trasportatori del colonialismo, dalla ricerca di Nuove Europe da abitare in giro per il mondo.
I nuovi scenari di oggi si stringono tutti attorno alle coste di altre masse d’acqua: nell’Asia – Pacifico dove ruggiscono le tigri asiatiche e si srotolano i tentacoli delle odierne vie della seta o lungo le nuove rotte consentite dallo scioglimento dei ghiacci nell’Artico. Eppure di rado consideriamo le distese d’acqua come luoghi: di volta in volta, sono limiti da superare, linee d’orizzonte da anelare, vie per giungere altrove, casse piene di pesce e petrolio da svuotare.
Il mare ci chiama.
Nel riverbero accecante del meriggio, quando il mare è tutto barbagli, non si vede niente ed è un incanto, l’epifania degli dei scrive Claudio Magris in Un altro mare restituendo lo stupore, la meraviglia e il senso di incognito e di infinito che proviamo quando scrutiamo il mare. Quanta letteratura si è interrogata rimirandone le onde, quanta ne hanno riempito di sfumature e atmosfere le sue acque salate.
Il mare ci interroga, come sorridendo dimostra il titolo che abbiamo voluto dare alla prossima edizione de Il libro del mondo, il Festival delle Geografie di Villasanta (MB), che quest’anno andrà in scena per la terza volta. Si tratta di un titolo giocoso e provocatorio, che ci porterà a concentrarci su un elemento base della vita come è l’acqua e sulla centralità e importanza delle grandi distese blu nel determinare i destini dei popoli e il mondo in cui viviamo.
Dagli interrogativi degli antichi greci, che osservando l’orizzonte mettevano per primi in discussione la possibile sfericità del globo terracqueo, ai portoghesi che solcavano gli oceani in cerca di spezie e chissà con quale idea di altrove. Dalle popolazioni degli arcipelaghi australi, di cui in Europa si perdono facilmente tracce, nomi e riferimenti, alle popolazioni litoranee che hanno visto arrivare dal mare conquistatori vecchi e nuovi.
Ancora: le guerre per l’acqua, la sfida ecologica, la nuova sete che attanaglia tanti paesi ed è resa più insopportabile dal surriscaldamento globale.
E poi l’Italia, la nostra penisola sdraiata nel Mediterraneo, come fosse – usando le parole di Erri de Luca – un braccio teso verso le terre d’Africa.
Le nostre glorie passate dipendono dall’acqua che ci bagna da tre punti cardinali, le paure di oggi colano a picco sul fondo del mare nostrum, cimitero delle vergogne d’Europa. Per noi, per la nostra geografia e la nostra storia, è difficile non interrogarsi sul ruolo del mare.
I greci – scriveva Jean Claude Izzo, in Marinai Perduti – avevano tante parole per definirlo: “Hals, il sale, il mare in quanto materia. Pelagos, la distesa d’acqua, il mare come visione, spettacolo. Pontos, il mare spazio e via di comunicazione. Thalassa, il mare in quanto evento. Kolpos, lo spazio marittimo che abbraccia la riva, il golfo o la baia…
Con questa edizione del Festival vogliamo immergerci, entrare in mare, guardare da lì, farci un nuovo vocabolario. Non più solo acqua come fascia blu interposta, solcata distrattamente come se fosse la stessa in ogni luogo, come se avesse un’unica faccia da trovare in ogni sperduta baia del mondo. Il mare è spazio vissuto, sono tanti luoghi quanti sono i marinai, i pescatori, i lavoratori delle piattaforme petrolifere, gli studiosi, gli sportivi, gli umani e gli altri viventi che lo abitano e lo frequentano. Il mare ha i suoi paesaggi e vorremmo scoprirli perché ne sappiamo davvero molto poco, noi terrestri.
Come per ogni esercizio di buona geografia, anche quest’anno, cercheremo in primo luogo di sconfessare alcuni luoghi comuni, capovolgere la visuale, ma anche di raccontare storie vere e importanti, immaginarie e meravigliose. Lo faremo come sempre attraverso presentazioni, discussioni, momenti di formazione, spettacoli, film, fotografie, letture e, se sarà possibile, attraverso giochi e laboratori per tutte le età. Anche questa volta navigheremo il tema seguendo più rotte, muovendoci nello spazio e nel tempo, nella speranza di dare sempre qualche strumento in più per leggere e orientarsi tra le pagine del Libro del Mondo.